Sono arrivato ai 60 anni in buona salute e senza mai gravi malattie. Nel 2018, erano almeno tre anni che non andavo più dal medico di famiglia anche solo per un controllo.
Avevo la pressione a volte un po’ alta ma avevo rinunciato a prendere le pastiglie. Mi sentivo bene, ma, un giorno, il corpo mi ha “invitato” a tornare dal medico, almeno per controllare il sangue e rinnovare la ricetta per le pastiglie.
Il giorno della visita, visti i risultati dell’analisi del sangue, il medico mi ha confermato che andava tutto bene «salvo un valore un po’ alto per il quale, anche se non è il caso di spaventarti, è meglio che ti mandi da uno specialista».
Il primo incontro con l’urologo è stato molto meno rasserenante: «il suo valore di PSA è particolarmente alto. Quasi certamente ha un tumore alla prostata. Per questo le fisso subito una biopsia». In quel momento, nella mia vita, è entrata la parola «tumore» e il PSA ha finito di essere il Partito Socialista Autonomo ed è diventato l’Antigene Prostatico Specifico. Ho anche imparato nomi quali risonanza magnetica, TAC, scintigrafia ossea.
Preso atto dei risultati di tutte le analisi, ecco il verdetto del board interdisciplinare del Centro prostata della Svizzera italiana (CPSI): si può operare ed asportare la prostata! L’alternativa potrebbe essere la radioterapia.
La decisione viene lasciata a me. Sugli effetti collaterali dell’una o l’altra scelta che mi sono stati presentati dal medico ho pochi ricordi: nel primo caso (l’operazione) avrei dovuto accettare di non avere più erezioni e rapporti sessuali penetrativi; in caso di recidiva sarebbe però rimasta l’opzione della radioterapia. Scegliendo la radioterapia, invece, mi sarei precluso la possibilità dell’operazione in caso di recidiva. Avrei però potuto parlarne prima con il medico della radioterapia.
Ricordo di avere chiesto all’urologo: «lei al mio posto, a sessantadue anni e con già tre figli, cosa farebbe?» La sua risposta è stata: «Mi opererei».
È stata anche la mia decisione: nella scelta tra la vita (o almeno la salute) e altre erezioni non ho avuto dubbi.
Tanto più che, mi aveva detto il medico, nel 93-97% dei casi, le persone operate ritrovano una vita del tutto normale (attività sessuale a parte). Nemmeno per un attimo ho pensato che avrei potuto essere tra il 3 e 7% di sfigati.
Sono stato operato ad inizio dicembre 2018, all’Ospedale regionale di Bellinzona. Sono stato curato e trattato molto bene per 8-9 giorni. Stavo relativamente bene ma subito, ecco, un problema inatteso: una grave incontinenza che, soprattutto all’inizio, mi ha anche creato molti disagi. E non solo per pochi giorni.
La Vigilia di Natale, il medico mi ha chiamato per dirmi che nei tessuti che aveva asportato era stata trovata una piccola metastasi ma di non preoccuparmi perché ormai era stata asportata. E alla mia osservazione: «Grazie, ma come la mettiamo con l’incontinenza» mi ha risposto con l’invito ad avere pazienza e… gli Auguri di Buon Natale.
A gennaio, ho insistito per poter fare delle sedute di fisioterapia. La fisioterapista mi ha meglio chiarito le indicazioni del medico: è vero che oltre il 90% degli uomini operati ritrova una buona qualità di vita ma… «il bilancio lo facciamo un anno dopo l’operazione».
Intanto, a inizio febbraio ho ripreso il lavoro al 100%.
A causa della metastasi mi è stata consigliata anche la radioterapia combinata con una cura di ormoni (che mi ha fatto vivere l’esperienza delle «caldane»). Nella primavera 2019 mi sono sottoposto a 32 sedute di radioterapia che, fortunatamente, ho superato senza particolari problemi. In quelle settimane ho continuato a lavorare normalmente (in ufficio). Nella pausa di mezzogiorno, mi recavo all’Ospedale Italiano per la terapia e le mie giornate continuavano normalmente.
Nei mesi successivi – ma ben oltre l’anno – grazie ad esercizi quotidiani ho recuperato anche un buon controllo della minzione urinaria. Ho ripreso a correre ed anche ad andare in bicicletta (sia pure con le protezioni contro l’incontinenza). Ho ritrovato una vita quasi normale.
Almeno finché, cinque anni dopo, la radioterapia mi ha «presentato il conto» con perdite di sangue nelle urine che hanno imposto un nuovo intervento alla vescica che, se da un lato ha risolto le perdite di sangue, dall’altro mi ha riportato ai piedi della salita verso un accettabile controllo dell’incontinenza. Ma questa è un’altra esperienza.